Smantellare l’ego; controllare il proprio pensiero; sciogliere il ghiaccio dei blocchi dei virus del linguaggio e della mente, sciogliendoli nell’acqua dell’intuizione mediante il fuoco dell’ispirazione, della creatività e della chiarovisione.
Sono concetti facilmente riscontrabili nella maggior parte delle dottrine esoteriche e in generale di crescita interiore.
Recentemente, però, sono inciampato in un’ulteriore esortazione, nel libro “L’esperienza psichedelica” – che sto leggendo in quanto interessato non tanto all’aspetto chimico dell’esoterismo, quando a certi rituali sciamanici, ovviamente e assolutamente bianchi – , la quale recita “per te [uomo che ha abbandonato l’ego] la sconfitta vale quanto la vittoria”.

E qui mi sono sentito di dissentire.

Perché se parliamo di sport, del derby di calcio, la vittoria e la sconfitta sono ugualmente accettabili.

La vittoria, tuttavia, in natura nasce per la sopravvivenza.
Vincere sulla propria preda significa garantirsi un altro giorno di vita.
La sopraffazione dell’inferiore è anzi necessaria, se senza di questa non possono procedere le vite nostre o della comunità in cui siamo. Il leone caccia lo gnu più debole affinché il clan possa sopravvivere, e questa vittoria è fondamentale.
D’altro canto, la dominanza sul prossimo a fini puramente egoistici, per affermazione di potere e di posizione di predominio, non è accettabile ed è equiparabile alla peggior sconfitta. In questi casi sì, che l’atteggiamento più utile alla società non è la conferma della propria superiorità, se esistente, bensì il supporto al più “debole” – fra virgolette in quanto non credo agli assoluti, se non al Principio della Divina Intelligenza.